Come Maurizio Maggiani nel romanzo II coraggio del pettirosso, anch’io potrei cominciare il racconto con queste parole: mi chiamo Raffaele e racconto questa storia perché… perché da bambino ho vissuto in un fondovalle delle Alpi Apuane, in un piccolo paese che si chiama Pomarino.

Gli zii Assunta e Loré, nelle serate di veglia, raccontavano dei loro amori e di quelli dei loro coetanei. Io ero affascinato dai racconti dei miei zii, come ora lo sono dal romanza di Maggiani…

Raffaele è pittore. Lo è da sempre. Lo era già prima di cominciare a dipingere erbe, acque, cavalli, fiori, ornate figure muliebri, mostri marini, armigeri, insegne, e scenari fantastici per le proprie storie di giardini incantati e cavalieri erranti e castelli abbarbicati sulle rocce e fastosi corteggi ed epiche tenzoni e…

Pittore lo era da bambino, fuor di cognizione, quando a veglia ascoltava le storie degli amori di Assunta e di Loré, e generazioni e generazioni di amanti rifluivano, per farglisi innanzi, nei loro parlari. Nel canto del focolare Raffaele cavalcava le parole, facendosi egli stesso parola narrante e ala da trasvolare la cresta apuana nativa e Pegaso da sconfinare nei territori del mito. Crepitavano i ciocchi ardenti, ed erano voci. Guizzava la fiamma, ed erano fantasmatiche figure che prendevano corpo e si animavano e cominciavano a muoversi innescando l’avventura.

… sono sempre stato attratto in modo irresistibile dai mondi paralleli degli scrittori. Nelle loro pagine non ho mai cercato spunti o pretesti per far scattare il meccanismo della mia immaginazione, ma mi é interessato scoprire altre possibili dimensioni della mia personalità nei protagonisti, nei luoghi, nelle situazioni delle loro storie. Veramente amo quei libri che avrei potuto scrivere io, se fossi stato scrittore. Ma che ho dipinto o che dipingerò, perché li riconosco parte integrante del mio mondo visionario. Gli scrittori mi prendono per mano e mi trasportano nel loro mondo, facendomi spaziare su altri pianeti, le cui immagini nuove e singolari catturo da fotoreporter, e le trasporto sulle mie tele, quali cronache delle mie emozioni, come un cantastorie…

Raffaele ha dipinto cicli e cicli da viaggiatore nei mondi paralleli degli scrittori. Sua prima fonte, la grande letteratura russa sino alla Rivoluzione, con la sua coralità, la sua tensione spirituale, e la potenza emblematica dei personaggi. Per esempio, hanno valenza mitica il cavallo “forza proletaria”, il bolscevico “armigero”, f intellettuale “indottrinatore” incontrati ne’ Il villaggio della nuova vita di Platonov. Poi il passaggio obbligato a Cervantes e all’immortale Don Chisciotte de la Mancia, l’eroe visionario per eccellenza, animato da un sogno utopico che altri chiama follia.

Poi la deriva ancora visionaria, ma d’altro fuoco che non si sublima nella poesia, di Fra Girolamo Savonarola, che nel fuoco consumò la propria follia. Poi… poi altre storie, altri miti, altri mondi immaginari, da Pavese a Fenoglio a Calvino.

… anche Maurizio Maggiani è un cantastorie. Il Coraggio del pettirosso è un canto che non ha tempo, che non ha confini geografici e culturali. Trovo che sia un inno alla libertà che coincide con la percezione profonda dello spirito della natura e delle sue leggi, dunque irrealizzabile in ogni società condizionata dalle ideologie monovalenti. Un’utopia necessaria. Le pagine che maggiormente mi hanno colpito sono quelle delle “Nozze di Sua”, che si svolgono nella foresta, grande come una cattedrale. Là si celebrano i riti, partecipati dall’intera comunità. Là si consumeranno le nozze, dopo che lo sposo sarà stato lavato con acqua gelida e battuto e frustato “con erbe e ramoscelli dall’odore pungente”, per potersi mondo e fortificato congiungere alla sposa: “Ora, se vuoi, puoi toccarla”.

Dovrei aggiungere troppe cose per dire la mia emozione. Meglio omaggiare Maggiani con le sue parole:

Canzone di Cerina per la figlia che si allontana

“Han cantato le stelline questa notte, Sua. Han cantato le sfere dei cieli per ninnarti questo ultimo sonno, carne mia, anima mia. Oh, mai più una notte il tuo dormire sarà quieto, mai più. Ci sarà la mano dura di un uomo che ecciterà il tuo calmo respiro, e i suoi piedi pesanti ti calceranno, e il suo ventre ti opprimerà i bei sogni, e la sua faccia sarà sulla tua per chiuderti gli occhi. Ascolta, Sua, la tua milza che grida, il fìgaretto che canta, il pelo tra le gambe che piange, il rognone che ti ingrava piacere. E riderai della forza dell’uomo tuo, rivolterai in folla la sua saggezza, abbatterai il suo orgoglio. Addolcirai il suo petto, come un gattino di casa blando ti chiamerà a sé il suo furioso pendaglio. Avrai denti di lupa contro i suoi torti e pietra di pomice per dilavare il nero dell’anima sua, tintura di porpora per dare colore d’amore all’amore. Con la furia dell’orsa azzannerai il tradimento, e con la fragranza dell’unguento lenirai la ferita. Avrai forza di bufala, malizia di colomba, mitezza di capriola. La femmina è l’alba e il maschio è il tramonto, e l’una ama l’altro come l’uomo si compiace del bianco nascere del sole e la donna del suo rosso calare. Ma la femmina è prospera e il maschio è secco, l’una è veggente e l’altro è offuscato. Sarà tua la facoltà di prosperare, sua quella di distruggere, tua l’allegrezza, sua Famaritudine. Guida il tuo uomo con la fermezza del tuo dolce cuore come l’allodola guida il potatore, come la cagna porta l’accecato.

“Carne della mia carne, io non ti do a nessuno, nessuno sulla terra ha diritto su di te. Vattene con fierezza a prendere chi hai voluto”.

Raffaele De Rosa è nato a Podenzana, in una terra prossima all’antica città di Luni e fino a sei anni vivrà in Lunigiana, il luogo dal quale sembra derivargli maggiormente la visio­narietà della sua pittura.

Dopo Pomarino e Pallerone è la volta di Napoli, in una casa vicino al cimitero di Poggioreale che lui ricorda come un giardino dei giochi; forse da questa reminiscenza nascono soggetti che ci riportano alla mente alcune opere di Arnold Bocklin.

Elemento essenziale della biografia di questo artista è la circostanza di essere cresciuto dai nonni, con i quali continua il peregrinare degli anni dell’infan­zia. Lo troviamo a La Spezia dove la nonna lo obbliga allo studio del violino, convinta che la padronanza di questo strumento possa essere una sicura garanzia di sopravvivenza nell’incerto futuro di ogni vita; ri­teneva infatti che un violinista avesse uno stipendio assicurato, anche all’angolo della strada.

Il nonno stalinista, la nonna cattolica fervente fino alla bigotteria; cresce isolato e impara a giocare da solo, si impegna nel pericoloso tentativo di trasferi­re il suo spirito in animali, oggetti, piante. Forse una vita anomala e travagliata prepara l’animo all’arte; in ogni caso De Rosa odia il violino e dipinge di nascosto, soprattutto disegna divenendo padrone di questa tecnica tipica della indigenza di tutti i grandi artisti, che poi la riterranno propria del loro intimo e del loro privato. A La Spezia riesce a frequentare un corso di decorazione. Intorno ai sedici anni arri­va a Livorno e vi incontra un gruppo di giovani pittori insieme ai quali inizia a dipingere dal vero, poi con il collega e amico Pieri frequenta la Scuola Trassi dove vi sono i Maestri Gastone Benvenuti, Cocchia e lo scultore Guiggi; in questa scuola di neorealismo non riesce però a identificarsi. Una cit­tà come Livorno gli offre l’amicizia di artisti già affermati; pittori onesti, forse troppo legati ai detta­mi del passato, come Lomi, Carraresi, Filippelli,

Natali, Romiti che lo mettono in contatto con alcu­ni «galoppini» così come in vernacolo venivano chiamati mediatori e mercanti di lì.

Di sicuro è apprezzato da alcuni di questi, visto che a diciannove anni conclude il suo primo contratto e va a Neuchàtel in Svizzera.

Tornato a Livorno, la buona fortuna gli è ancora accanto nella persona del signor Stefanini, che per tre anni acquista con metodo tutta la sua produzio­ne, offrendogli l’opportunità di compiere serenamente le sue ricerche e scelte pittoriche.

In questi anni è già a tutti gli effetti un pittore pro­fessionista; apre uno studio a Firenze e nel 1963 stipula un contratto con il signor Scarselli e con il mercante fiorentino Ruggero che stava trattando, tra gli altri, i dipinti di Ulvi Liegi e Puccini. Questa rela­zione durerà fino al 1972; intanto in quel medesimo periodo si era creata una collaborazione con il livor­nese Mario Mariotti, che nel 1969 organizza la prima mostra personale di De Rosa, presentata da Servoli­ni alla galleria Bottega d’Arte.

Ruggero e Scarselli ne allestiranno un’altra nel 1971 alla galleria Pananti di Firenze.

Dopo la morte del mercante d’arte Ruggero, si uni­scono in società Mario Mariotti, Scarselli e il dottor Romano per gestire la produzione di questo pittore in continuo divenire, che infatti incoraggiano nella ricerca di una nuova tematica artistica. De Rosa tro­va il suo stile congeniale e la sua originalità in una pittura fantastica.

Siamo nel 1975 quando inizia a lavorare con la Graphis Arte di Giorgio e Guido Guastalla; saranno loro, in alcuni momenti affiancati da Toninelli di Milano, che lo faranno conoscere subito in campo nazionale; ben presto vi saranno mostre in tutta Europa per poi arrivare anche negli Stati Uniti e in Israele.

Dopo dieci anni finisce l’esclusiva con i Guastalla e in seguito a una mostra nel Chiostro del Museo di San Marco a Firenze, il pittore si lega alla Galleria Maggiore di Bologna; dopo un anno conclude un contratto di esclusiva della durata di due anni con la galleria Leonardo Arte di Roma.

Nel 1989 lavora con la società II Parnaso che gli al­lestisce mostre esclusivamente in spazi pubblici; da questa collaborazione nasce un notevole ciclo sia pit­torico che di ricerca di carattere antropologico con un preciso riferimento al tema della «Veglia»; si de­sta l’interesse di alcuni dei massimi specialisti della materia; il nome De Rosa inizia a circolare oltre che nelle gallerie anche nelle Università e nei musei. Questo evidentemente non passa inosservato al mer­cante d’arte Giovanbattista Bianco, che si interessa sempre di più alle opere dell’artista.

Convinto dello stilema artistico del pittore, il signor Bianco inizia dai primi mesi del 1990 a gestire la pittura visionaria di Raffaele De Rosa.

(Da Raffaele De Rosa, a cura di Paolo Levi, Edizioni R.G.B., Firenze 1992)

Dal 1994 l’artista prosegue la sua ricerca di immagi­ni leggendarie, espone in mostre personali e rassegne in Italia e all’estero, e apre una collaborazione con la galleria Fantasio & Joe di Lucca.