Raffaele De Rosa è un pittore colto, lontano dalla ricerca gratuita dell’effetto, i sogni dell’artista straripano dal quadro in maniera ovattata o in modo prepotente, ingannano il tempo, confondono il passato con il futuro. Le città dipin­te potrebbero essere gli antichi borghi lunigiani, però le architetture non sempre sembrano rispettare la geometria euclidea; nei suoi paesaggi si muovono figure fantastiche, personaggi definiti o sfumati, animali alieni. Ci possiamo riferire tanto a miti remoti quanto a realtà future. Come scrive Pietro Clemente, “la pittura di De Rosa non è tutta­via racconto, è piuttosto illustrazione, e come tale più ambigua e più aperta. L’illustrazione infatti è evocazione ed ambientazione, creazione di scenari in cui guidare l’immaginario narrativo. È punto di connessione, senza dovere di continuità sequenziali, tra fimmaginario non-iconico dei racconti interiorizzati e il mondo della visione in cui posso­no essere tradotti”. Raffaele De Rosa evade la realtà e ne inventa un’altra sostituendo il quotidiano oggettivo con una sua creazione teatrale. Insegue il filo della memoria, delle letture, delle leggende, del mito, della storia; crea così un mondo alternativo scevro dalle perversioni del reale, dove tutto, anche il fantastico, si carica di senso e significato nella prospettiva di una geometria parallela eppur sensata. Nei suoi quadri convivono l’Oriente e l’Occidente, con il gusto della sintesi, tutto moderno ed europeo, e l’attrazione per l’arabesco e la decorazione. Architetture gotiche sposano luci di derivazione anti-naturalistica, i drammi e le gioie del pensiero trovano tutte spazio tra quei pinnacoli e quelle altezze irraggiungibili ed insondabili. Quella di De Rosa è dunque una “cartografia” fantastica, dove la realtà spunta in modo indistinguibile da ciò che è impossibile, dove ciò che noi consideriamo immaginario può invece appartenere al mondo reale. I suoi quadri sono fotogrammi di un unico racconto, dove spesso l’iconografia è un pretesto perché la storia divenga leggenda e perché dal mito si possa risalire alla storia. Infatti nelle sue “favole” parla l’archetipo, tutto ciò che è originario, generazioni di esperienze collettive, il “vero nome” delle cose del mondo.