(Michele Loffredo)
Nella Galleria d’Arte, alla personale dell’artista, ad un osservatore attento, poi alquanto allibito, i dipinti parlarono e dissero:
“Grande re, questo io so: siamo stranieri al mondo, anche quando questo sembra appartenerci. Come maschere che indossano i teatranti, siamo attori sul palcoscenico della vita, siamo fantasmi nel tempo. Nessuno ricorda ciò che fummo, perché combattemmo e perché amammo. Cosa resta dei grandi imperi del passato, di valorose gesta o di ignobili codardie, se non il mito? Ascolta la mia storia”.
Cantastorie, al limitare della sera, dopo lungo ed erratico vagabondare in lontanissime contrade, giunsi a Pomarino, cercando di riconoscervi la città della mia infanzia e della quale avevo udito le leggende.
Avevo camminato per giorni attraverso montagne e fitte foreste che circondano la città, ma quando vi arrivai non vi riconobbi le maestose architetture, gli edifici che sorgevano dai canali copiosi d’acque, le raffinate piazze e le strade soprelevate che ricordavo.
Nemmeno gli abitanti mi apparivano familiari e stentavo a riconoscerne la lingua.
Mi aggirai come un fantasma, cercando qualcosa o qualcuno che mi fosse conosciuto. Ma per quanto girassi, non riconobbi negli anonimi palazzi, nelle anguste piazze e nelle strette strade, la città di Pomarino. Chiesi notizie della Casata degli Eroi, dei Signori dei Draghi, delle Vestali del Sole, ma mi guardarono con occhi interrogativi e sdegnosi per il mio logoro abbigliamento da viandante.
Infine, stanco e deluso, mi fermai sotto un albero di sicomoro accanto ad una fonte, dove un vecchio cieco sedeva appoggiato al bastone e lo sguardo nel vuoto.
Padre saggio, che la benevolenza del cielo sia con te! – lo salutai
Chi sei, straniero, che ti curi di salutare un cieco, bianco per i troppi inverni!
Padre saggio, sono un pellegrino di questo mondo, venuto a cercare la città della sua infanzia.
E l’hai trovata?
Non ho riconosciuto i palazzi, né le piazze, né le strade. La gente mi appare sconosciuta e la lingua suona con accento alieno.
Forse ti sarà difficile ritrovarla. Quella che tu hai calpestato è una città diversa. – Senza lasciare
10 sguardo nel vuoto il vecchio continuò – Ma se anche fosse la stessa, dubito che la riconosceresti. Dovrai cercarla in un altro luogo e in un altro tempo, appartiene alla tua infanzia.
– Ma tu, padre saggio, forse ricordi dell’antica città di Pomarino, dai portici con smisurati colonnati, dai maestosi castelli di torri, dalle imponenti guglie?
– Non so della Pomarino di cui parli. Ma sarò felice di ascoltarti. Sei stanco, ti offrirò un posto dove dormire. Ma bevi dell’acqua di questa fonte. Io non sono un mago, ma dicono che a Pomarino esista un’acqua a cui i pellegrini possono dissetarsi ed attingere il bene della vita.
11 ricordo é la mia vita. Cerco la città dalle architetture fantastiche, degli eserciti che sfilano, dei duelli e delle giostre, la terra delle epiche battaglie tra bene e male. La nostalgia si fa inquietudine e mi spinge a viaggiare in un’affannosa ricerca che sola allevia il mio vagabondare per le strade del mondo.
Così dissi e mi dissetai alle fesche e dolci acque della fonte.
Di notte, in quella città straniera, fui assalito da strani sogni e visioni.
Un frastuono indistinto di armature mi svegliò. Proveniva dalla strada, mi affacciai alla finestra e vidi Pomarino, la città della mia infanzia.
Mi accorsi che la finestra della mia stanza era situata su una babelica torre e che dall’alto potevo osservare grandi lame di luce che sciabolavano sulle smisurate architetture, si diffondevano sulle labirintiche costruzioni, sulle grandi scalinate, sotto arcate piranesiane, fino a scendere tra le scure acque dei canali e illuminarle con una chiara alba.
Improvvisamente bussarono alla porta. Entrò un cavaliere dall’armatura scintillante:
– Messer Raphael, l’ippogrifo attende. Affrettatevi!
Così dicendo, mi aiutò a vestire dell’armatura che riposava sul tavolo. La corazza era decorata con un gotico rilievo di mascherone dai riflessi dorati, anche il paracolpi sulla spalla sinistra ripeteva lo stesso motivo come i raffinati schinieri, mentre l’elmo si apriva in una elegante e ieratica cresta di metallo. Da ultimo raccolsi la spada. Appena la impugnai seppi che era mia. La sfoderai e, come se l’avessi sempre fatto, feci dei movimenti lenti e circolari, da guerriero. La rinfoderai e dissi: – Sono pronto. Così mi trovai catapultato in quello che pensavo un sogno. La Pomarino onirica nella quale non mi introducevo dal tempo della mia infanzia. Seguii il cavaliere all’interno di vaste sale, scendendo scalinate e percorrendo lunghi corridoi, senza incontrare anima viva, eppure percepivo in lontananza un gran rumore di cavalli, un fragore di armature e canti di battaglia. Lungo il tragitto potevo ammirare trofei, lance d’oro, bipenni, mazze e spade esposte nelle rastrelliere, barocchi clipei che adornavano gli ambienti, vasti arazzi ed estesi dipinti che raffiguravano giostre, paladini in torneo, panorami della città di Pomarino, delle sue alte scogliere cinte di torrioni e dei canali fra cui navigavano straordinari vascelli. Mi fermai un istante ad osservare lo strano dipinto di una città aliena, non era Pomarino, ma sembrava un luogo a me familiare. Il cavaliere mi fece segno di affrettarmi mentre, lungo il cammino, mi informava della situazione:
Le armate del nord sono ormai alle porte della città. I Draghi della Notte stanno minacciando le Torri del tramonto. Intanto le Casate dei Principi e degli Eroi, i Cavalieri Erranti del Sud, i Signori della Guerra si preparano alla battaglia.
Arrivammo su di un’ampia terrazza con arcate romaniche delimitata da una lunghe transenne rinascimentali. Ad attenderci cera uno straordinario animale, l’ippogrifo.
– Rok, ti porterà in alto nei cieli di Pomarino per adempiere alla tua missione.
Avrei voluto replicare qualcosa circa la mia sconosciuta missione, ma le parole mi sembrarono inadeguate a quella situazione di sogno, mi decisi a seguire il mio destino e montai la fantastica creatura.
Ricorda — mi ammonì il cavaliere — solo la purezza dell’innocenza è l’elisir di lunga vita. Stai lontano dalle Sirene, dai fauni, dagli orchi e soprattutto guardati dal Grande Leviatano. Vai, ora. La battaglia sta per iniziare.
Alzò la mano in segno di saluto, la luce del sole si rifletté sul braccio lanciando riflessi sfavillanti. Accarezzai la creatura sul collo e poi la spronai.
Battendo le ali, l’ippogrifo si lanciò in volo oltre la balaustra della terrazza. Sulle prime un lieve sobbalzo al cuore rispose all’emozione di trovarmi a planare nei cieli di Pomarino. Poi il governo mi sembrò familiare e mi lasciai andare al poderoso e lento batter d’ali dell’animale, prestando attenzione a ciò che accadeva sotto di me, mentre il vento mi carezzava la faccia.
Sorvolammo mastodontiche architetture simili a faraglioni che emergevano nella nebbia tra le acque, coorti a più livelli si aprivano alla vista in spettacolari scenografie. Costeggiammo in volo monumentali costruzioni irte di statue e pinnacoli, tra cupole rigonfie per poi scendere in picchiata nel dedalo di canali che congiungevano la città al mare. Pomarino si stendeva a perdita d’occhio in un rigurgitare di stili, di intrecci e forme, di prospettive audaci, era un inno alla fantasia mentre il sole la faceva risplendere in tutta la sua maestà senza tempo.
Mentre, affascinato, lasciavo vagare lo sguardo, udii un rintoccare di campane. Prima una, poi dieci, cento risuonavano fa i castelli isola, sui pontili e negli approdi, sulle ricche facciate dei templi e dentro le piscine, chiamando all’armi.
Il suono delle campane mi svegliò da quel incanto, allora vidi migliaia e migliaia di cavalieri, di figure mitiche che si accalcavano lungo le strade, nelle piazze, sulle scalinate e sulle terrazze, intonando inni di battaglia e marciando verso la difesa della città.
Planando sotto un’imponente arcata ci avvicinammo ad una corteo di guerrieri, dalle lunghe alabarde e dai grandi scudi, che montavano impotenti destrieri bardati. Alla loro testa vidi Orlando, ilpaladino, e il suo poderoso corno. Accanto a lui, Lancilotto e Parsifal. Volai oltre, sorvolando fantasmagoriche armate che si muovevano per la città, reggevano simboli di potere, sfolgoranti emblemi di Clan, spade fiammeggianti, corazze rilucenti, con le affusolate lance e gli elmi dagli alti pennacchi. Vidi Morgana e Ginevra, Armida e Rodomonte, Thor e Odino, Marte e Achille, Conan e Gilgamesh.
Molti ne vidi degli eroi e degli dei che popolano i miti, tutti lì convenuti. Mi meravigliai che proprio a me toccasse in sorte di assistere a quello spettacolo, a quella folla di personaggi che si preparavano allo scontro finale, al Crepuscolo degli dei.
Volai per ore sulla smisurata città arrivando verso il tramonto sugli spalti delle mastodontiche mura dove le sentinelle contemplavano l’avanzare dei Draghi della Notte. Essi si mostravano al limitare della sera.
Strisciavano sulle spire, volavano e nuotavano, scavavano cunicoli con poderosi artigli, bruciando con alito di ghiaccio tutto ciò che era sul cammino. Una visione terrificante, ma mi affascinò il loro modo di muoversi sinuoso, la loro eleganza serpentiforme, le strane fogge e le metamorfosi bestiali in cui si presentavano. Erano chimere, cerberi con tre teste, centauri e minotauri, sfingi e arpie, meduse e tritoni, giganti e troll, ogni specie di creatura fantastica, ogni sorta di seduzione e di perversità.
E presto la notte fu su di noi. Le creature avevano fatto breccia in più punti, inoltrandosi attraverso le mura e nelle profondità scure dei canali, volando e atterrando sugli ampi cornicioni dei palazzi. La smisurata città iniziò ad oscurarsi, colorandosi della spettrale luce lunare che avanzava gradualmente verso i quartieri che ancora riflettevano il tramonto vermiglio ormai al suo morire.
L’ippogrifo volò tra le ombre, nelle zone oscure dove orde di creature combattevano contro armate di guerrieri. Passai sulle porte della città, bastioni poderosi che avevano resistito ad ogni invasione, e le vidi cinte da due massicci gargoyles, attorniate da grappoli di demoniache figure. Più volte dovetti stare attento a non incrociare il volo con diaboliche creature alate, continuai nel mio viaggio toccando i vari luoghi dove si svolgeva l’apocalittica battaglia. Allora vidi Pindemonte lanciare la sua sfida. S. Giorgio infilzare il drago, Ercole combattere l’Idra, Teseo affrontare il Minotauro, e vidi la rombante carica delle amazzoni capeggiate da Antea.
Ovunque un gran rumoreggiare di armature, di paurosi ruggiti, di grida e clangore di spade che con l’inoltrarsi della notte si diffondevano in tutta la città.
Vagai fino a trovarmi nel cuore della battaglia. Kraken ed altre creature marine emergevano dalle acque che ribollivano per quella miriade sguazzante, dal cielo esseri dalle ali membranose si acquattavano sui timpani spezzati, sui capitelli, sui cornicioni, nascondendosi nell’oscurità tra le colonne.
E vidi la regina, la Grande Madre, minacciata dal Drago. Possenti paladini la difendevano, lanciando dardi e gran colpi di fendenti contro i ripetuti assalti delle malefiche creature. I guerrieri che venivano colpiti subivano una straordinaria metamorfosi trasformandosi al loro volta in mostri deliranti ma questo non faceva che accanire gli sforzi dei difensori che a frotte si riversavano oltre le gradinate, sulla piazza dell’approdo.
Improvvisamente l’apparizione di un unicorno bianco preannuncio la materializzazione della coppa abbagliante del Sacro Graal che levitò alta sulle acque, trattenendo l’orda.
Poi, rilucente in tutto il suo splendore, apparve, a sovrastare tutti, una corazza luminosa, il simbolo del potere. Vi fu un mormorio di inaspettata meraviglia e il clangore delle armi cessò gradualmente. Era la corazza del re del quale Pomarino attendeva il ritorno.
Nel silenzio generale avanzò una Vestale della Luna recando il bastone con l’emblema alato delle sacerdotesse di Selene. Proclamò con voce forte:
– La Gran Madre aspetta un figlio. Egli ci libererà della schiavitù dell’antico serpente.
Il fracasso della battaglia iniziò ad affievolirsi mentre il silenzio si diffóndeva dall’epicentro della scena. Lentamente l’invasione cessò, le creature si ritirarono dalle scalinate, immergendosi negli anfratti dei canali, volando cupamente oltre la mura, ponendosi al limitare della grande foresta del nord, in attesa.
Rok, l’ippogrifo che cavalcavo, mi segnalò di prendere il volo e si lanciò in alto battendo le ali per seguire Petaso, il cavallo alato. Lo seguimmo planando sulla città, illuminata dal riflessi di grandi falò sparsi ovunque, fino a giungere su di un arcano edificio. Atterrammo sull’erba di un giardino pensile, dove accanto ad un albero di sicomoro stava un vecchio cieco dalla barba bianca. Omero, pensai, o forse Esopo, ma con mia meraviglia vi riconobbi i tratti del vecchio che mi aveva ospitato la sera del mio arrivo in città. Smontai dall’ippogrifo e, malfermo sulle gambe, mi avvicinai salutandolo:
– Padre saggio, spiegami questo incantesimo.
Il vecchio rispose: – Io non sono un mago, ma credo tu abbia trovato alfine Pomarino, la città che cercavi. Essa può essere chiamata anche con altri nomi. E’ la perduta Avalon, Xanadu, il Walhalla degli eroi, l’Olimpo e l’iniziatica Agartha. Costruita dagli uomini in una dimensione accessibile solo attraverso il mito e la leggenda, si nutre dell’incrocio architettonico della memoria: E’ Cnosso, Babilonia, Troia, Roma, Heliopolis, Atlantide ed altre ancora sommate assieme. Pomarino e la città, senza tempo e perennemente minacciata dalle ombre. I draghi la cingono d’assedio attendendo che il grande Leviatano sia evocato e lasciato libero per il mondo. Ogni giorno attendono oltre la soglia, le fanno da guardiani, e sono pochi coloro che possono sperare di raggiungerla.
– Ma cosa significa l’apparizione della corazza del re? – Chiesi
– Pomarino e la città ideale, la patria perduta, la Gerusalemme celeste che attende il ritorno del re. La ritroverai quando saprai agire con cuore puro. Una ricerca che ogni uomo deve intraprendere e che fa di lui un cavaliere. Segui quindi il tuo destino. — Infine, proferì dolcemente le ultime parole: – Svegliati adesso.
Mi risvegliai accanto alla fonte, sotto l’albero di sicomoro. Era ormai l’alba e le ombre lentamente si diradavano dalle case. Mi ritrovai solo, del vecchio cieco nessuna traccia.
Partii in giornata, inoltrandomi nelle foreste degli elfi grandi come cattedrali e, dirigendomi verso la terra di Rohan, mi allontanai dalla città.